Bigiotteria in conterie e perle a lume

Fiori in conterie di vetro

Accessori moda e per la casa in conterie e perle a lume

Le Impiraresse: Chi erano, chi sono

Impiraressa, letteralmente infilzaperle, deriva dal verbo veneziano impirar, infilzare, e indica una particolare professione – esclusivamente femminile – nella produzione di collane e monili di perle. Il lavoro della impiraressa consiste nell’infilare piccole perle di vetro, dette conterie. A Venezia il termine conterie indica le perle, ma anche specificatamente indica lo spazio di Murano dove si producevano questi manufatti. Le fasi di lavorazione di queste perle erano complesse e molteplici, generalmente eseguite da manodopera maschile, ma l’ultima fase, ovvero quella della filatura - più delicata e più adatta alla manualità femminile - erano di pertinenza esclusiva delle donne.

Il termine veneziano impiraressa esiste dunque nella sua sola accezione al femminile. Altra particolarità di questo lavoro è che si svolgeva a domicilio. Da una parte assicurando la fondamentale presenza della donna nell’ambito domestico, dall’altra esponendola a un massacrante carico di lavoro.

Alla fine dell’800, nell’isola di Murano, apre la più grande fabbrica di perle di vetro: la Società Veneziana per le Industrie delle Conterie. Questa grande realtà manifatturiera, nata dalla fusione di tante piccole ditte muranesi, produce enormi quantitativi di perle.

 A Venezia, soprattutto nei sestieri di Castello e Cannaregio ma anche nell’isola della Giudecca le conterie, attraverso una estesa rete di mediatori e la disponibilità di manodopera a domicilio e a bassissimo costo trovano uno sviluppo eccezionale. Le impiraresse sono pagate a cottimo. È stato calcolato che con il loro impegno quotidiano di 8 ore, con il modesto guadagno, a malapena, riescono ad acquistare un chilo di pane. I mediatori ci speculano. È più corretto parlare però di mediatrici, perché la distribuzione delle perle alle lavoranti avviene nella totalità dei casi dalle mistre (nome veneziano per indicare le maestre), piccole imprenditrici che con le loro relazioni con i produttori riescono ad assicurare agli industriali un buon fatturato a un costo minimo. Le mistre ricevono le perle, le portano alle impiraresse, registrandone il peso e ritirano quindi i mazzi infilati che poi vengono riconsegnati per la distribuzione commerciale. Le mistre dispongono di propri laboratori o scuole, dove insegnano a bambine e ragazzine e dove spesso gestiscono anche piccole attività di casse peote, per l’erogazione, all’occasione, di piccoli prestiti o sovvenzioni.  Le mistre - esempio di semi-imprenditorialità femminile - fungono da padroncine, ovvero pagano direttamente le operaie per il lavoro fatto e sempre loro ne ricavano però un guadagno spesso superiore a quello della impiraressa stessa. 

Per l’economia della città, il lavoro delle impiraresse ha avuto un ruolo decisamente rilevante. Agli inizi del ‘900 le donne che svolgevano questa attività erano più di 5000 e quindi voleva dire altrettante famiglie sostenute da queste donne che, lavorando in casa potevano anche continuare a badare alla famiglia ed ai figli. È difficile parlare di emancipazione, perché la loro libertà di lavoro mal si conciliava con altri diritti fondamentali. Le impiraresse aderiscono numerose a partire dalla fine dell’800 agli scioperi di categoria, ma sempre con scarsissimi risultati per non dire spesso ridicolizzate anche dalla stampa maschilista dell’epoca.

Caratteristica di questo lavoro è che si svolge durante la bella stagione, con le donne sedute in calle (la tipica strada veneziana); ognuna con i propri strumenti di lavoro a fare bozzolo (col significato di cerchio, pannello) e chiacchierare (o pettegolare, come insinuano alcuni maliziosi). È interessante la rappresentazione armoniosa del pittore John Singer Sargent (ora alla National Gallery di Dublino) del 1880, dove giovani donne sono dignitosamente impegnate con i loro strumenti di lavoro.

Gli strumenti di lavoro dell’impiraressa sono molto semplici: un vassoio in legno con il fondo leggermente curvo dove vengono messe le conterie, una palmetta, ovvero 40/80 aghi lunghi 18 cm tenuti in mano come un ventaglio e i fili lunghi circa 2 metri, generalmente di lino o cotone.

Come accade in molti lavori, anche il mestiere delle impiraresse si è ripartito in varie specializzazioni: ci sono le impiraresse da fin che sono  abilissime nell’infilatura delle perle più piccole che viene eseguita con più di 80 aghi sottilissimi e dalla cruna quasi invisibile; ci sono poi le impiraresse da fiori, esperte nella infilatura eseguita senza aghi, fatta direttamente su fili di ferro  che poi modellano e attorcigliano trasformandoli, quasi magicamente, in foglie e petali di varie forme, misure e colori;  infine vi sono le impiraresse addette alla produzione delle frange che hanno un ampio utilizzo negli anni Venti del ‘900: vengono infatti impegnate per arredare tende e lampadari nelle case ma anche moltissimi abiti nel classico stile charleston.

La fabbricazione delle frange in perle di vetro richiede due fasi diverse: la prima è quella della infilatura delle conterie che avviene con una specie di pettine fatto  di particolari aghi molto lunghi ma privi di cruna e con un uncino che serve ad agganciare i  fili di cotone dove verranno trasferite le conterie; la seconda fase è quella della tessitura: con dei telai manovrati a pedale vengono praticamente tessuti i vari fili di perle che risulteranno infine bloccati da una fettuccia di cotone così da formare la frangia  Questo tipo di lavorazione sta ormai scomparendo. A Venezia è rimasta solo la ditta Gioia che, nella volontà di conservare le tradizioni, ha recuperato dalla famosa ditta Costantini gli ultimi vecchi telai in legno che ancora oggi vengono utilizzati per la produzione delle frange di perle di vetro, articolo ormai di nicchia e pressoché introvabile altrove.

Intorno al lavoro delle impiraresse c’è un mondo di termini dialettali creatisi via via negli anni e che essendosi tramandati solo attraverso il linguaggio popolare, spesso sono pronunciati in modi leggermente diversi anche da sestiere a sestiere di Venezia.
Si riporta qui di seguito un piccolo glossario.

  1. .AGÀDA: il ventaglio di aghi riempito di conterie.
  2. .BURATTINI: le perle di tanti colori diversi (spesso si facevano mescolando le poche conterie che inevitabilmente restavano sulla sessola alla fine di ogni lavoro).
  3. .CREMETTE: tipo di perle dal taglio obliquo, vengono chiamate così per la somiglianza, nella forma simile ad una losanga, che ricorda un tipico dolce veneziano chiamato appunto crema.
  4. .GIARDINETTO: praticamente un mazzo variopinto ovvero composto da più marini di vari colori.
  5. .MARIN: insieme di fili di perle corrispondente a due agàde.
  6. .MAZZO: l’unione di più marini (generalmente 240 fili).
  7. .PALMETTA: il ventaglio di aghi tenuto in mano dalla impiraressa.
  8. .ORBE: le perline con il foro tappato.
  9. .SÉSSOLA: una piccola pala di legno con fondo leggermente curvo, usato per contenere le perline di vetro da infilare. È curioso sottolineare che in una città d’acqua come Venezia questo attrezzo è spesso più usato per secar la barca, togliere l’acqua dal fondo della barca.
  10. .SPÒLVARO: la sabbia che poteva restare sul fondo della sessola (la sabbia veniva usata in alcune fasi della lavorazione delle conterie: poteva restarne nei fori delle perle se queste non venivano setacciate bene).
  11. .TAMÌSO: setaccio usato sia per pulire le perle (da sabbia e crusca ) sia per dividerle per misura.

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Bigiotteria, frange, fiori ed accessori.
Ogni anno vengono realizzate nuove collezioni con i colori autunno/inverno e primavera / estate usando conterie in vetro e minuterie metalliche di produzione italiana con galvanica anallergica.

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Realizziamo prodotti finiti o semilavorati, su disegno e colori del richiedente (lavoriamo anche per case di moda e grandi magazzini).

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